economia

Cosa succede in Francia tra industria e distribuzione?

l'opinione di

Enrico Colla

Data la concentrazione in atto fra le centrali di acquisto, l’elevata intensità competitiva e le tendenze deflazionistiche, le relazioni commerciali fra industria e distribuzione dei beni di consumo in Francia sono diventate più tese. I produttori denunciano pratiche sleali e i distributori temono l’inasprirsi delle sanzioni e una crescente insicurezza giuridica.

Il contesto delle relazioni fra produttori e distributori:

Dopo le annunciate integrazioni fra le centrali di acquisto di Auchan e Système U, di Casino e Intermarché e di Carrefour e Cora, le relazioni fra industria e distribuzione in Francia sono diventate più tese.
Insieme con il gruppo Leclerc, le quattro centrali controllano ormai circa il 93% degli acquisti dei beni di largo consumo.
Questa concentrazione segue una fase d’intensa concorrenza sul prezzo fra le insegne francesi, favorita dalle modifiche legislative culminate con la Legge di Modernizzazione economica (LME) del 2008 e sostanzialmente confermate dalla legge Hamon del 2014. Tali accordi mirano a ottenere migliori condizioni di acquisto dai fornitori, grazie all’aumento dei volumi per ciascun prodotto o gamma e allo scambio d’informazioni fra le centrali sulle rispettive condizioni di acquisto.

Il problema delle pratiche sleali secondo i produttori

Le resistenze dei produttori alle pressioni potrebbero innescare una fase di negoziazioni difficili, e l’accentuarsi di pratiche sleali da parte dei distributori.
L’11 gennaio, Jean-Philippe Girard, Presidente dell’Ania (Associazione Nazionale delle Industrie Alimentari) ha dichiarato in un comunicato «Siamo di fronte a una situazione di blocco senza precedenti, dovuto a un rifiuto di negoziare da parte dei nostri clienti…le pressioni sui fornitori sono aumentate e i cattivi comportamenti si sono moltiplicati».
In un suo comunicato l’Ania fornisce un esempio di queste “cattive pratiche” e dei “comportamenti abusivi”. Si tratterebbe di :

  • Domande di riduzione dei prezzi proposti dai fornitori, che arriverebbero fino al 18% del prezzo proposto.
  • Rifiuto di tener conto dell’aumento dei costi di produzione.
  • Non rispetto della legge.
  • Non rispetto della riservatezza degli accordi verbali di allineamento dei prezzi.
  • Non rispetto dei dipendenti dei produttori.
  • Domande di compensazione retroattiva dei margini.

Aspetti negoziali

I primi tre comportamenti sono strettamente legati allo svolgimento delle negoziazioni: i produttori vorrebbero iniziarla sulla base dei prezzi di cessione proposti da loro, che spesso prevedono aumenti anche elevati.
I distributori non accettano che la base della trattativa sia il prezzo proposto dai produttori né riconoscono a priori l’argomento dell’aumento dei costi, ribattendo con controproposte di forti ribassi.
Altri comportamenti, come il non rispetto dei dipendenti (dilazione degli appuntamenti, imposizione di lunghi tempi di attesa ai venditori) e della confidenzialità degli accordi verbali, dipendono dalle tecniche di negoziazione piuttosto aggressive degli acquirenti.
Infine, comportamenti quali la domanda di compensazione retroattiva dei margini sono illegali, ma le aziende sono riluttanti a denunciarle, per timore di ritorsioni.

Rischi giuridici per i distributori

Anche in assenza di denuncia dei produttori, esiste però un rischio elevato per i distributori che abusassero del loro potere negoziale per imporre clausole o pratiche “abusive”, come la precedente.
Il rischio è che, in seguito alla conclusione dell’accordo fra le parti, intervenga il Ministero delle Finanze, tramite la DGCCRF (Direzione generale del Consumo, della Concorrenza e della Repressione delle Frodi). L’amministrazione potrebbe rilevare, nelle condizioni del contratto, o in condizioni imposte in seguito – anche se accettate dai produttori – l’esistenza di “uno squilibrio significativo nei diritti e negli obblighi delle parti”.
Questa nozione è stata introdotta nel 2008 dalla LME fra le Pratiche Restrittive della Concorrenza (PRC)[1]

Le pratiche Restrittive della Concorrenza sono una specificità francese e differiscono, nelle fattispecie e nelle sanzioni, dalle pratiche anticoncorrenziali previste dalla legislazione europea e francese, alle quali si aggiungono.

In conformità a questo provvedimento, il ministero ha già citato in giudizio alcuni distributori, che sono stati perlopiù condannati.
Secondo alcune di queste sentenze, lo squilibrio in questione può essere valutato per ciascuna misura e non solo con riferimento al contratto complessivo. Le clausole e le pratiche contestate si riferiscono essenzialmente :

  • Alle penalità di ritardo e di non rispetto di uno standard di servizio definito dai distributori.
  • Alla rescissione del contratto a seguito di una scarsa performance del prodotto acquistato.
  • A condizioni di pagamento squilibrate fra le parti. 

Le sanzioni civili previste per queste pratiche non potevano superare finora i due milioni di euro, un importo tutto sommato modesto. Un emendamento al disegno di legge Macron, attualmente discusso in Parlamento (febbraio 2015), prevede però di rialzare il limite massimo della penale al 5% del fatturato aziendale. L’importo delle sanzioni si avvicina ormai a quello - altissimo (10% del fatturato mondiale) - previsto per le pratiche anticoncorrenziali.
Il rischio di condizioni contrattuali o pratiche che riflettano uno “squilibrio significativo” rischia di diventare dunque estremamente elevato per i distributori.

[1] Le pratiche Restrittive della Concorrenza sono una specificità francese e differiscono, nelle fattispecie e nelle sanzioni, dalle pratiche anticoncorrenziali previste dalla legislazione europea e francese, alle quali si aggiungono.