02. Le opportunità per l’Italian food

Indicazioni utili per le aziende del food italiano su come affrontare il mercato domestico e quelli esteri sono venute dalla relazione: «Il consumatore e l’alimentazione» di Ipsos. E dalla ricerca: «Opportunità per l’industria italiana sui mercati internazionali» di PwC.

Nuovi modelli di consumo

Nando Pagnoncelli, presidente di Ispos Italia, non ha lasciato spazio a dubbi. La crisi ha determinato cambiamenti nelle abitudini di consumo profondi, irreversibili e sostanzialmente simili in tutta Europa. Quasi un consumatore su due, psicologicamente e finanziariamente colpito dalla crisi, se può procrastina gli acquisti, altrimenti privilegia sconti e offerte. «Va fatta però particolare attenzione», ha evidenziato il presidente di Ipsos, «a quel 39% di consumatori che, più spesso per scelta (62%, ndr) e solo in parte per necessità (38%, ndr), attua comportamenti d’acquisto evoluti e improntati a un maggiore raziocinio».

Parchi anche nel benessere

Da un focus sulle famiglie italiane dell’ottobre scorso, Ispos rileva una forte e generalizzata riduzione degli acquisti, compresi quelli di generi alimentari. Riduzione forte, relativamente ai beni voluttuari, che si riscontra anche fra quel 25% d’intervistati che dichiara di non aver difficoltà a mantenere il proprio tenore di vita. Un comportamento simile, nel 2007, ovvero prima dell’inizio della crisi, si riscontrava soltanto fra chi era alle prese con difficoltà economiche.

Siamo quel che mangiamo

Di nuovo nel confronto con l’Europa, noi italiani ci confermiamo più restii a tagliare gli acquisti di cibo. Seppure in proporzioni più ridotte, comunque, rinunciamo alle stesse cose cui rinunciano i cittadini degli altri paesi Ue

I bisogni emergenti

Conferme al fatto che i cambiamenti nelle abitudini di consumo siano irreversibili, Ispos le trae da tre bisogni emergenti degli italiani: ottenere il massimo spendendo meno, evitare gli sprechi e fare acquisti informati.

«Non siamo di fronte a consumi pauperistici, conseguenza della crisi», ha affermato Pagnoncelli, «bensì a comportamenti d’acquisto più razionali e selettivi, intesi a evitare di rinunciare alla qualità dei prodotti e, in più di un caso su tre, improntati all’ecosostenbilità».

Pur considerando ancora i brand una garanzia di qualità, soltanto poco più di un terzo degli italiani è oggi disposto a spendere di più per un prodotto di marca. Per comprare a prezzi più convenienti, il 53% è disposto a cambiare negozio. Per risparmiare, piuttosto, gli italiani scelgono di ridurre gli sprechi. Lo fanno controllando quello che manca in dispensa prima di andare a fare la spesa e orientandosi su confezioni più piccole. Scelta, peraltro, coerente col trend wellness. Si informano inoltre sulle caratteristiche dei prodotti.

Obiettivo trasparenza

«Per intercettare un consumatore più attento, esigente, informato e infedele», ha concluso Pagnoncelli, «le aziende devono investire sulla chiarezza, trasparenza, eticità, rendicontazione. E attenzione che il perimetro della responsabilità sociale si sta allargando, quasi le persone volessero che le aziende aiutino il paese a uscire dalla crisi».

Italia dal recupero lento

«Risalita dalla recessione che», lo ha ribadito Vincenzo Grassi, associate partner di PwC, «in Italia è molto lenta. Il Pil tornerà ai livelli pre-crisi non prima del 2020 e i consumi non prima del 2026-2030».

Luci e ombre nel food

Tutto sommato, però, l’alimentare ha retto. La produzione industriale e i consumi interni sono calati, seppure con percentuali più ridotte rispetto ad altri comparti del manifatturiero. Ma il fatturato ha continuato a crescere.

Ciò grazie all’export, che ha fatto registrare progressioni medie annue del 10% dal 2009 al 2013, raggiungendo i 27,5 miliardi di euro (33 miliardi considerando anche i prodotti agricoli). «I vini sono la categoria più esportata e quella con tasso di crescita maggiore», ha sottolineato Grassi. «Seguono i prodotti ortofrutticoli e quelli dolciari. La pasta è invece la categoria che ci vede primi esportatori al mondo. Con i vini e il caffè torrefatto ci posizioniamo al secondo posto in graduatoria».

Due terzi del nostro export, però, approda in paesi Ue, l’area a minor crescita, mentre abbiamo quote poco significative nei mercati emergenti, che stanno aumentando il loro import alimentare sulla scia della domanda generata da una classe media in espansione.

Potenzialità da sfruttare

Mercati che le nostre imprese faticano ad aggredire per una serie di criticità. In primis la difficoltà a diffondere la tradizione alimentare italiana in paesi fisicamente e culturalmente distanti. La ricerca di prodotti alimentari di qualità superiore e certificata da parte dei consumatori di classe media può però rappresentare una tendenza da cavalcare per la nostra industria.

In secondo luogo per la complessità e frammentazione del sistema distributivo nei paesi lontani, aggravata dall’assenza d’insegne italiane (ma non di altri paesi occidentali) come pure di catene di ristorazione italiana. Si può però ovviare alla lacuna presidiando canali alternativi, come gli hub logistici e del travel retail, le fiere e il turismo. In terzo luogo per le numerose barriere tariffarie e/o sanitarie, che colpiscono comunque alcuni settori merceologici del nostro export, non tutti.

«Potenzialità dell’export italiano», ha fatto notare Grassi, «che possono essere accelerate da Expo 2015, che offre opportunità di tipo strategico, di visibilità e di business».

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