economia

01. Agroalimentare italiano: 5 mosse per il successo

Un potente motore per l’economia del paese se preso nel suo insieme: ha totalizzato 204,3 miliardi di euro di vendite nel 2013 e contribuisce per il 10,1% all’export italiano verso l’Ue e per l’8,2% a quello nel mondo.

Un meccanismo delicatissimo fatto di tanti fragili ingranaggi, se osservato in dettaglio: si compone di 900 mila imprese (ma allargando il novero delle categorie merceologiche potremmo contarne anche 1.700).

È la fotografia dell’agroalimentare italiano emersa al primo Forum Food & Made in Italy, organizzato a Milano il 10 dicembre scorso dal Gruppo Sole 24 Ore.

Il secondo comparto per peso sul Pil italiano, dietro quello metalmeccanico, costituito per la quasi totalità da aziende di taglia micro o mini (soltanto l’1% è fatto da imprese di medie dimensioni, con più di 50 addetti, e lo 0,1% da grandi aziende, con oltre 250 addetti) è insomma un patrimonio da salvaguardare. Come? Deloitte ha sviluppato una sua ricetta, fatta di cinque regole d’oro, che possono garantire il successo alle aziende di questo comparto: coniugare tradizione e innovazione, gestire razionalmente i passaggi generazionali e le trasformazioni organizzative, valorizzare i prodotti e internazionalizzare, adottare processi produttivi efficienti e ampliare la gamma, gestire gli aspetti finanziari connessi allo sviluppo.

Guardando avanti, Paolo Gibello, partner di Deloitte, ha evidenziato la necessità per gl’imprenditori dell’agroalimentare di non perdere l’occasione di sfruttare in modo adeguato l’apprezzamento dei consumatori per il made in Italy che, in particolare nel settore del cibo e del vino, è evocativo di uno stile di vita cui in molti aspirano. Ma di tener conto anche dell’evoluzione dei consumatori, oggi molto più attenti e coscienti di ciò che vogliono mangiare. Cambiamento culturale dei fruitori che comporta anche la necessità d’adeguare le modalità di comunicare il valore e i valori dei propri prodotti e d’interagire con i consumatori.

Gibello non ha mancato di toccare due tasti dolenti. L’incapacità delle nostre aziende d’avvantaggiarsi dei fondi europei per l’innovazione e per le reti d’imprese. Soldi che non utilizzati, dalle nostre aziende, sono redistribuiti alle più capaci imprese olandesi, belghe, tedesche, deprimendo ulteriormente la nostra competitività. «Sta per partire un nuovo piano di finanziamenti Ue: Horizon 2020», ha detto il partner di Deloitte. «Questa volta facciamoci trovare pronti. Non perdiamo anche quest’occasione». E la necessità di mantenere la manifattura in Italia. «Abbandonare il proprio territorio d’origine», ha concluso Gibello, «mette a rischio la conservazione di quella ricchezza culturale, di quella tradizione, di quel legame coi luoghi che sono gli elementi qualificanti di un prodotto, che lo rendono interessante e distintivo».

A cura di Luisa Contri