sostenibilità

Packaging 1/ La prevenzione per la sostenibilità

Prevenzione è la nuova parola d’ordine della packaging chain. Ad alzare l’asticella rispetto a meri obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale attraverso la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali d’imballaggio, a indurre la filiera ad applicare nuovi paradigmi, sono spinte che provengono non soltanto dall’esterno - cioè dalle normative nazionali e sovranazionali, dagli ultimi orientamenti della politica o dalla più diffusa sensibilità al tema della sostenibilità ambientale da parte delle diverse istanze della società civile - ma anche dal suo stesso interno, soprattutto per ragioni di competitività.
Del contributo dell’innovazione e della ricerca tecnologica, ma anche di come la filiera del largo consumo può orientare verso una maggiore sostenibilità degli imballaggi s’è parlato recentemente a Milano durante il convegno dal titolo: «Come disegnare la via della sostenibilità del packaging. Il ruolo della filiera industria-distribuzione», organizzato dal Gruppo 24 Ore insieme alla rivista Mark Up, dal Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, e da Ipack-Ima, la mostra internazionale delle tecnologie e dei materiali per il processing, packaging e material handling la cui 22ª edizione si terrà dal 28 febbraio al 3 marzo prossimo presso i padiglioni di FieraMilano.

«La filiera del largo consumo», ha detto in apertura dei lavori Cristina Lazzati, vicedirettore area retail del Gruppo 24 Ore in veste di moderatore del convegno, «è fra le più coinvolte in quanto è il settore che con maggior frequenza è a contatto con il consumatore, oltre a essere quella che fa passare di mano una gran quantità d’imballi».
«La prevenzione è la nuova sfida raccolta dal nostro consorzio», ha rammentato alla folta platea Walter Facciotto, direttore generale di Conai, «che nei suoi 10 anni di vita ha ottenuto importanti risultati». L’Italia ha infatti già ampiamente superato gli obiettivi di riciclo e di recupero stabiliti dalla normativa comunitaria e dalla legislazione italiana, avendo raggiunto il 75% di recupero complessivo su tutto il territorio nazionale e il 65% di riciclo.
Di prevenzione si occupa dal 2003 anche Ipak-Ima. L’amministratore delegato della manifestazione Guido Corbella ha voluto però ribadire che il packaging dà valore al prodotto che contiene. «Proprio per questo, nel corso della manifestazione organizzeremo un summit patrocinato dall’Onu dedicato all’Africa, durante il quale emergerà quanto, in certi paesi, il packaging sia vissuto come fondamentale per lo sviluppo e per la vita quotidiana. Da uno studio commissionato dall’Onu risulta, infatti, che in Africa oltre il 60% della produzione agricola va sprecata per mancanza di tecnologie atte a portarla al consumatore».

Dal riciclo alla prevenzione

Partendo dal presupposto che lo zero packaging non è la soluzione e che resterà sempre una nicchia, Antonio Tencati, professore di management e corporate social responsibility del Dipartimento di management e tecnologia dell’Università Bocconi, ha dato qualche anticipazione circa lo studio «Prevenzione e innovazione per un’economia della sostenibilità», realizzato per conto di Conai dal Centro di ricerche su sostenibilità e valore (CReSV) dell’ateneo milanese. Lo studio, che verrà presentato in dettaglio durante Ipack-Ima 2012, punta a individuare le nuove priorità strategiche del sistema industriale del packaging o, in altri termini, i nuovi driver per coniugare obiettivi di sostenibilità e competitività complessiva del sistema.
«Nonostante tutti gli interventi e le politiche ambientali fin qui condotte a livello europeo», ha detto Tencati, «gli attuali modelli di produzione e consumo non sono sostenibili. Al massimo in Europa nell’ambito dei rifiuti da packaging abbiamo raggiunto un decoupling relativo, quando il VI programma d’azione per l’ambiente dell’UE mirava a un decoupling assoluto. Dobbiamo dunque riconoscere che il riciclaggio e il recupero, ossia le politiche ex post, a valle della supply chain, per quanto cruciali, non sono esaustive né sufficienti per affrontare la sfida della sostenibilità».
Per risolvere il problema occorre quindi adottare una prospettiva strategica nuova. Bisogna ragionare di politiche ex ante, ovvero di politiche di prevenzione abilitate da un cambio di paradigma. Significa lavorare in un’ottica cradle to cradle con obiettivi di minimizzazione del consumo di risorse e della produzione di rifiuti inquinanti, di recupero e di riciclo dei rifiuti prodotti, di massimizzazione del valore aggiunto ambientale dei prodotti e servizi e di minimizzazione dell’impatto ambientale.
In questa prospettiva il sistema del riciclo e del recupero si salda con la prevenzione a monte, strategia nella quale la leva fondamentale è l’innovazione non solo hard, ossia di prodotto e processo, ma anche soft, ossia di metodo gestionale e organizzativo.

Innovazione e collaborazione

Dall’analisi delle best practice in tema di politiche di prevenzione attuate in 11 paesi (sette europei e quattro extraeuropei) e da 20 aziende (appartenenti a diverse filiere dei materiali d’imballaggio e a differenti settori d’attività alle tre le fasi della packaging chain: produzione, utilizzo e distribuzione), il CReSV Bocconi è orientato a ritenere che, se si vuole innovare, bisogna coinvolgere tutti i gli attori della supply chain. «L’innovazione», sottolinea Tencati, «non è più un fenomeno puntuale anche perché è estremamente complessa. La creazione di un vantaggio competitivo deriva dunque da una forma di collaborazione, da un’open innovation».
Dalla ricerca emerge inoltre che per costruire il confronto e la condivisione occorrono strumenti gestionali evoluti e il più adatto appare quello del life cycle assessment (LCA). E che questo confronto richiede condivisione e quindi si concretizza a partire da soluzioni web based che utilizzano protocolli informativi aperti e che consentono una comunicazione just in time. «Le politiche di prevenzione più efficaci», conclude Tencati, «appaiono dunque fondate su modelli di collaborative governance».
Si basa proprio sulla logica collaborativa anticipata da Tencati, lo strumento di LCA semplificato e web based che Conai sta finendo di mettere a punto e che pure sarà presentato ufficialmente alla prossima edizione di Ipack-Ima.

Indicatori per la sostenibilità

«Ragionando in un contesto cradle to cradle» ha spiegato Gianluca Baldo, docente d’analisi del ciclo di vita ed eco-design della facoltà d’Ingegneria agraria del Politecnico di Torino e fondatore di Life Cycle Engineering, «è necessario cercare soluzioni tecnologiche innovative, a minor impatto ambientale cui si può arrivare impiegando l’LCA. Strumento che paragono a un grande puzzle, fatto di tante tessere, che si possono analizzare singolarmente per capire che funzione hanno all’interno del sistema».
Lo strumento LCA abilita, infatti, simulazioni che consentono di valutare cosa succede se si elimina una tessera del puzzle o se la si sostituisce con un’altra e quale impatto hanno queste azioni sull’intero sistema. Si tratta anche di un approccio codificato a livello internazionale, che può però risultare eccessivamente costoso per una PMI. Proprio per questo Conai metterà on line un suo LCA semplificato che ha chiamato Eco Tool Conai.
«Il set d’indicatori che abbiamo scelto per l’EcoTool» spiega Baldo, «è rappresentato dai tre oggi considerati di maggior rilievo per l’ambiente: quelli del global warming potential o carbon footprint, del consumo totale d’energia e del consumo d’acqua. Ora le aziende, inserendo in apposite maschere i dati relativi a tutti i componenti del loro sistema d’imballaggio interessati all’azione di prevenzione, potranno ottenere un’indicazione di quanto il loro packaging sia sostenibile. Potranno poi inserire un nuovo set di dati rispondenti alle caratteristiche del packaging innovativo che intendono realizzare e vedere di quanto con quest’ultimo migliorerà il loro profilo di ecocompatiblità».

Concentrando l’attenzione sul packaging degli alimenti, Riccardo Guidetti, docente dei Dipartimento d’ingegneria agraria dell’Università degli Studi di Milano, ha sollecitato il progettista d’imballi ad andare oltre la visione tradizionale della sostenibilità. «Chi si occupa di food», ha osservato Guidetti, «sa che il consumatore sta cambiando e che se negli anni ha interiorizzato l’importanza della provenienza del prodotto, ora sta attribuendo sempre più importanza anche alla sostenibilità dei prodotti e dei loro processi produttivi».
Sostenibilità che è misurabile con sistemi diversi: dall’analisi energetica, al sistema EPD, al carbon footprint, al water footprint, all’ecologic footprint. Sistemi espressi graficamente con loghi che cominciano ad apparire sulle confezioni dei prodotti alimentari, il cui reale significato sfugge ancora ai più, esattamente come succedeva negli anni Settanta quando sulle confezioni apparirono le prime tabelle nutrizionali.

Guidetti ha dunque avanzato la proposta che, nella filiera alimentare, la progettazione del packaging si basi sui presupposti che la confezione debba assolvere a determinate specifiche operative, che sia compatibile con il processo produttivo del bene che conterrà e che tenga conto del concetto di ambiente esteso. E che quindi adotti un approccio basato sull’analisi dei rischi, a partire dalla fissazione dei parametri funzionali, ambientali e socio-economici che il packaging deve soddisfare, per poi identificare il peso da attribuire a ciascuno di loro. Peso che sarà mediato dalle valutazioni di un panel d’esperti. «Ora»», ha spiegato Guidetti, «questo approccio può portare, a seconda di come la singola impresa orienti la sua politica di packaging, in una direzione piuttosto che in un’altra, dando luogo a un know how aziendale che consentirà di valutare le innovazioni di volta in volta introdotte».

A cura di Luisa Contri


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