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Francia: l'Antitrust attacca l'associazionismo in nome di una maggiore concorrenza

l'opinione di

Enrico Colla

Secondo l’Autorità della Concorrenza francese (parere del 7 dicembre), la concentrazione dei punti vendita della grande distribuzione è troppo elevata in numerose zone d’attrazione e, in conseguenza, la concorrenza è limitata e i prezzi praticati sono troppo alti. È necessario allora ridurre le barriere all’entrata e favorire la mobilità degli operatori. Per ottenerlo l’Autorità propone la modifica dei contratti di distribuzione, considerati troppo lunghi e rigidi, mediante le seguenti misure:

  1. limitare a cinque anni la durata dei contratti (che talora si estendono fino a venti/trent’anni);
  2. evitare le sovrapposizioni di contratti diversi – di approvvigionamento e di affiliazione, per esempio – che rendono più complessa l’uscita dal gruppo;
  3. rivedere le modalità dei diritti d’ingresso a pagamento differito;
  4. evitare le clausole di non concorrenza applicate dal momento della cessazione del contratto.

Leclerc: salvaguardare i gruppi indipendenti

Le risposte di alcuni operatori economici non sono tardate: Michel-Edouard Leclerc, in particolare, si è subito dichiarato contrario alle conclusioni del parere dell’Autorità. Il Presidente del gruppo Leclerc ha anche annunciato un ricorso al Consiglio di Stato per “eccesso di potere e sviamento di procedura” ritenendo che il parere sia in realtà una decisione mascherata - che dovrebbe essere riqualificata come tale - e per di più non motivata né contraddittoria.
Michel-Edouard Leclerc attacca soprattutto l’idea alla base del parere, secondo la quale la mobilità degli associati fra i gruppi sarebbe preferibile alla loro stabilità e quindi sarebbe necessario indebolirli per favorire i cambiamenti d’insegna. In realtà i gruppi d’indipendenti (Leclerc, Intermarché e Système U) sono i più competitivi, praticano prezzi bassi e contribuiscono al rinnovamento del tessuto commerciale francese. Piuttosto di renderli più fragili, meglio sarebbe, a suo parere, costringere le imprese – comprese le catene integrate - a cedere dei negozi là dove, come nella capitale, la loro quota di mercato è troppo elevata. Quanto alle esclusive, piuttosto che contratti, sarebbero degli statuti societari, necessari alla sopravvivenza economica dei gruppi e degli indipendenti che ne fanno parte. Peraltro la corte di cassazione li ha considerati validi e le critiche dell’autorità costituiscono, per Michel Edouard Leclerc, una rottura con la giurisprudenza.

Papin apre a contratti meno lunghi

Un altro gruppo ha preso una posizione più sfumata. Serge Papin, presidente di Système U, ha certo difeso i raggruppamenti basati sulla cooperazione, che apporta benefici reali agli associati e ai consumatori. Ha inoltre difeso il mantenimento di clausole di prelazione di vendita, che sono utili per evitare che le catene succursaliste acquistino progressivamente i negozi indipendenti associati. Ma ha anche concesso che, se cinque anni sembrano un periodo troppo breve, venticinque o trenta probabilmente sembrano lunghi. Su questo punto il leader di Système U appare più aperto a una discussione.

Scelte strategiche in discussione

In attesa che altri operatori si esprimano, si può osservare che, se l’obiettivo dell’autorità – ottenere una concorrenza più intensa - appare corretto, attaccare i contratti di distribuzione per conseguirlo suscita molte perplessità sul piano economico e giuridico.
Questi contratti nascono da una precisa scelta strategica: evitare dei costi di transazione elevati e realizzare economie di scala, di marketing, di logistica, senza ricorrere alla concentrazione proprietaria di una catena succursalista. Indebolirli significherebbe quindi far perdere una parte di questi benefici agli operatori e ai consumatori. È difficile, se non impossibile, ricostruire i vantaggi se si cambia frequentemente di raggruppamento.
Inoltre questi contratti non hanno né l’obiettivo né l’effetto di restringere la concorrenza, al contrario contribuiscono a rafforzarla. Ciascun membro di un gruppo approfitta dei vantaggi acquisiti collettivamente. I suoi partecipanti non sono economicamente indipendenti ma costituiscono un insieme, i cui legami consentono il buon funzionamento, come succede in una catena succursalista. Perché la legge dovrebbe avvantaggiare, e quindi incoraggiare la proprietà piuttosto che la cooperazione?

Catene succursaliste premiate

Infine, nella maggioranza delle zone di attrazione, non si rileva (come lo riconosce l’Autorità della concorrenza), un eccesso di concentrazione. Un intervento sui contratti in queste zone sarebbe quindi ingiustificato ai fini della difesa della concorrenza, la perturberebbe inutilmente e, molto probabilmente, favorirebbe un aumento della concentrazione – tramite nuove acquisizioni – a livello sia locale sia nazionale.
Tutto ciò favorendo le catene succursaliste, dotate di più risorse finanziarie e in grado di mobilitarle rapidamente.
Poiché i gruppi indipendenti sono generalmente più competitivi, la conseguenza più probabile sarebbe una riduzione, e non un aumento della concorrenza.
Indebolendo inoltre la concorrenza orizzontale, si ridurrebbe anche quella a monte, come ha fatto la legge Galland, con tutti gli effetti negativi che si conoscono per i consumatori.
Insomma, adottare una nuova legge per regolare i contratti di distribuzione finirebbe per dare risultati contrari a quelli che si desiderano. Favorirebbe la concentrazione neutralizzando così gli effetti positivi della Legge di Modernizzazione Economica (LME), che ha liberalizzato la negoziazione.
I contratti di distribuzione sembrano piuttosto di competenza dei codici di “best practices” delle imprese e, eventualmente, dell’intervento della Commissione di esame delle pratiche commerciali (CEPC).

*Professore a Advancia-Negocia e Direttore del “Centre de recherche sur le commerce” (CRC) di Advancia-Negocia a Parigi