economia

Più valore per competere

Perseguire la qualità e la distintività dei prodotti/servizi offerti alla clientela e portare costantemente innovazioni sul mercato. Sono i due obiettivi che le imprese dei paesi sviluppati possono e devono perseguire per sottrarsi alla competizione basata solo sul prezzo (nella quale uscirebbero perdenti rispetto ai competitor dei paesi emergenti) e per porre le basi per un vantaggio competitivo di lungo periodo, che si traduce in creazione di valore. È quanto è emerso al convegno «Più valore per competere. Concorrenza di prezzo o di valore: le chance di ripresa del sistema-Italia», organizzato il 21 gennaio scorso a Milano dall’Università Commerciale Luigi Bocconi, in collaborazione con Centromarca, Fondazione Ernesto Illy e Corriere della Sera.

«Adottare questo modello di crescita», ha detto Guido Tabellini, rettore dell’università Bocconi in apertura dei lavori, «è una sfida non per le singole imprese, ma per tutto il Paese. Richiede uno sforzo corale. Perché per basare la crescita sull’innovazione le imprese devono essere messe nelle condizioni di sperimentare e apprendere dai propri errori, contando sul fatto che il sistema paese indirizzerà verso le più capaci di loro le risorse sia finanziarie che umane indispensabili per sostenere tale processo».
E se creare valore o, meglio, valori, deve essere l’obiettivo centrale oggi delle imprese, Sergio Pivato, professore ordinario di economia e gestione delle imprese dell’università Bocconi, ha affermato come questo output debba andare a beneficio non dei soli azionisti dell’azienda, bensì di una più vasta schiera di stakeholder. «L’azienda che crea valore duraturo», ha ribadito Pivato, «è quella che attraverso il prodotto di qualità e tutte le sue azioni diventa un punto di riferimento, che crea una cultura della qualità al suo interno e all’esterno, quindi nella filiera». Una visione del ruolo dell’impresa che coincide con quella della Fondazione Ernesto Illy che, ha rammentato la stessa presidentessa Anna Rossi Illy, si propone di coltivare e sviluppare la conoscenza, l’etica e la sostenibilità come valori assoluti nell’esercizio dell’attività d’impresa e la ricerca scientifica come metodo per il progresso dell’uomo.

«Negli anni Settanta», ha detto Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, «il Manifesto dell’industria di marca, redatto da Ernesto Illy in collaborazione con l’università Bocconi, presagiva che il sistema della marca, basato su elementi qualitativi e valoriali proiettati sul lungo periodo, si sarebbe venuto a confrontare con un modello alternativo, focalizzato sul confronto di prezzo e finalizzato a ritorni a breve». Convinto della superiorità del primo modello sul secondo, soprattutto nel mercato e nel sistema produttivo italiano, Illy commissionò all’università commerciale milanese uno studio che dimostrasse scientificamente questa superiorità.

Studio presentato alla folta platea del convegno dal suo coordinatore, Maurizio Dallocchio, professore ordinario e titolare della cattedra Nomura di finanza aziendale dell’università Bocconi. Dalle risposte a un approfondito questionario di 200 aziende italiane di settori del largo consumo: caffè, tessile e cosmesi, è emersa una spiccata propensione (90%) a migrare da una gestione della filiera basata sul prezzo a una incentrata sull’innovazione e sulla qualità del prodotto. «Minore», ha sottolineato Dallocchio, «la sensibilità delle imprese interpellate verso fattori intangibili e meno direttamente riscontrabili sui risultati aziendali come la sostenibilità, che si giustifica con la dimensione mediamente contenuta del campione, e la propensione in tendenza a ricorrere a un outsourcing significativo, a riprova dell’importanza attribuita al presidio dei processi e della qualità. Una buona notizia è poi la forte attenzione delle imprese interpellate verso un fattore critico per la filiera produttiva come la collaborazione con la distribuzione». Una gdo con cui instaurare un rapporto non più dialettico, ma di natura quasi sinergica, volto a individuare il canale adeguato per valorizzare la qualità, la capacità innovativa, il valore del prodotto. Nella gestione dei rapporti con i fornitori forte è anche l’interesse dimostrato dalle imprese produttive interpellate a portare avanti momenti di formazione, di studio in comune, che testimoniano la convinzione della necessità di uno sforzo della filiera, non del singolo operatore.

«Prendendo spunto dai risultati della ricerca», ha concluso Dallocchio, «ritengo che oggi sussistano condizioni favorevoli perché imprenditori e finanza raccolgano le risorse destinate a supportare il nuovo modello di crescita basato sull’innovazione e sulla qualità. Innovazione che sarà favorita da una crescita dimensionale delle aziende italiane, ormai irrinunciabile e irrimandabile. Qualità intesa come proposta al consumatore non di tanti prodotti ridondanti, bensì di prodotti desiderati e nella giusta quantità. Il 2010, riassumendo, può essere l’anno in cui insegnare al cliente e al mercato il valore del valore».

Nuove motivazioni e incentivi al rilancio della collaborazione in Italia fra industria di marca e distribuzione, ha evidenziato Luigi Bordoni, giungono anche dalla produzione accademica e scientifica di altri istituti e ricercatori, in primis dall’analisi di Robert Reich, docente dell’università di Berkeley, già segretario del lavoro durante la presidenza Clinton. «Reich», ha detto il presidente di Centromarca, «ha osservato come, dall’avvio della globalizzazione, la spasmodica ricerca del consenso del consumatore tramite l’offerta di prodotti a prezzi sempre più bassi delle imprese si sia saldata e abbia interagito con un’altra gara, anch’essa sempre più accesa: quella volta a guadagnare la preferenza degli investitori, prospettando loro risultati e ritorni sempre crescenti e in tempi via via più ravvicinati. Opportunità quest’ultima resa possibile dalle nuove tecnologie, dal taglio dei costi, dall’efficienza e da una maggior produttività il cui rovescio della medaglia sono però i tagli occupazionali, la precarizzazione del lavoro, il peggioramento delle condizioni di lavoro, ecc.. Ora, la tesi di Reich è che l’involuzione del sistema, da un capitalismo democratico nel quale si erano costruiti benessere economico e conquiste sociali a un supercapitalismo nel quale tali conquiste declinato, può essere fermata. La sfida è istituire nuove regole e nuove norme che proteggano e facciano prosperare il bene comune».

Aprendo la tavola rotonda cui hanno partecipato: Diana Bracco, vice presidente di Confindustria, Camillo De Berardinis, presidente di Adm, Giampaolo Fabris, ordinario di sociologia dei consumi dell’Università Iulm, Andrea Illy, presidente e amministratore delegato di Illycaffè, Edoardo Lombardi, vice presidente di Banca Mediolanum, Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli & C. e Santo Versace, presidente della Fondazione Altagamma, il moderatore Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, ha osservato che nell’epoca del low cost, la ricerca presentata da Dallocchio potrebbe apparire revisionista oppure rivoluzionaria. «E sarà rivoluzionaria», ha sottolineato De Bortoli, «nella misura in cui riuscirà a mutare gli atteggiamenti e il modello di competizione delle imprese italiane. Occorre però creare le condizioni perché le aziende possano imboccare la strada dell’innovazione». «Nonostante l’Italia non figuri fra i paesi che investono di più in ricerca», ha detto Bracco, «il sistema delle imprese italiane è riuscito a competere sui mercati e sta riprendendo a esportare. E lo fa proprio in forza dell’innovazione tecnologica e dell’unicità dei suoi prodotti. Esistono nel Nord Italia esempi di collaborazione fra imprese e centri di ricerca pubblici. Si tratta ora di riuscire ad attivare un sistema che metta in rete queste eccellenze. È l’obiettivo che Confindustria sta perseguendo».

Collaborazione che De Berardinis auspica anche fra industria e distribuzione. «L’esasperazione della concorrenza non giova a nessuno», ha detto il presidente di Adm. «Occorre equilibrio nella filiera e che insieme cerchiamo il modo di rilanciare i consumi». «Consumi che non è detto saranno improntati al basso prezzo», ha rimarcato Fabris. «La strategia del cut price non fidelizza il consumatore che, anzi, sta declinando in modo nuovo il concetto di qualità. Il value for money lascia oggi spazio al value for me. Fra le diverse dimensioni di qualità sta assumendo rilievo quella etica». Etica che deve permeare l’impresa, istituzione seconda solo alla famiglia per importanza, nella concezione che ne ha Illy. Ne consegue che occorre interrompere il circolo vizioso in cui è caduta la filiera del largo consumo. «Una filiera», ha rammentato Illy, «nella quale la redditività dell’impresa industriale è scesa al 3% e quella delle imprese distributive s’è approssimata allo zero. Occorre un patto forte fra industria di marca e distribuzione, perché operano nel medesimo campo. È tempo che la gdo si focalizzi sul vendere bene, piuttosto che sul comprare bene, e l’industria sul garantire sell out e un’adeguata marginalità».
«Nei servizi», è intervenuto Lombardi, «fornire qualità è un’esigenza ancora più pressante che nel settore industriale, perché il processo produttivo si svolge sotto gli occhi del cliente. E l’indispensabile innovazione dipende dalla cultura aziendale e dalla qualità dell’ambiente di lavoro».
«Nelle aziende italiane», ha osservato Tronchetti Provera, «c’è molta più innovazione di quella che appare. Il problema è che non è sostenuta. Sta a noi imprenditori sforzarci d’essere catena di trasmissione della necessità del cambiamento nei confronti della politica». «Dobbiamo non pensare soltanto alle nostre aziende», ha convenuto Versace, «pena la perdita di competitività. Abbiamo il dovere di tener presente che dobbiamo cambiare il paese, che occorre fare una rivoluzione culturale che diventi rivoluzione politica».

A cura di Luisa Contri