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La concorrenza, il libero mercato e la crisi

l'opinione di

Nel corso del 2008, soprattutto in ragione della crisi finanziaria ed economica, più volte l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata chiamata a riaffermare che la concorrenza sviluppa nuova ricchezza da investire e da distribuire; che la valorizzazione delle competenze nella pubblica amministrazione, nelle professioni, nella formazione, nella ricerca e nel mercato stimola dinamismo e produttività; che la corretta misurazione dei meriti rende equa una competizione che non prescinda dai principi di sussidiarietà e solidarietà.

Il libero mercato e la crisi

L’ideale si realizza solo in virtù di norme liberali, di iniziative economiche sfidanti, di controlli severi: il mercato competitivo richiede infatti più presidi di un’economia protetta. Lo sottolineo perché la congiuntura negativa tende a generare diffidenza verso le opportunità del confronto concorrenziale e verso le regole che lo disciplinano e lo alimentano.
Era già accaduto negli Stati Uniti ai tempi della Grande Depressione: alcuni consiglieri di Roosevelt ritennero che la concorrenza ne fosse concausa e nel 1933 fu approvata una legge per la ripresa dell’industria nazionale che recava importanti deroghe alla normativa antitrust federale.
La legge fu dichiarata incostituzionale nel maggio del 1935 e il comitato istituito da Roosevelt nell’aprile di quell’anno per l’esame degli effetti della riforma concluse che quel programma, promuovendo cartelli e monopoli, aveva di fatto rallentato la ripresa.
L’insegnamento che traiamo dagli errori del passato indica la giusta direzione.
È dovere di questo Collegio segnalare i rischi di un ritorno al protezionismo e a politiche restrittive, forse più facili in termini di consenso, ma dannose per gli interessi della collettività. I segnali in Europa non sono incoraggianti. Le minacce al mercato interno sono attentati alla prosperità del Continente, assicurata, nella parte occidentale, da oltre cinquanta anni di liberi scambi.
Per questo occorre rilanciare l’idea di Unione, il cui declino è iniziato con il Consiglio di giugno 2007 ed è confermato dalla scarsa partecipazione degli europei all’elezione del Parlamento.
Nel nostro Paese i vincoli di finanza pubblica, giustamente considerati dal Governo, ci mettono di fronte a una scelta obbligata e virtuosa: possiamo solo incoraggiare le liberalizzazioni e lo sviluppo di autonome iniziative imprenditoriali, favorire soluzioni forse più lente ma stabili dei problemi di crescita che in Italia hanno da tempo assunto caratteristiche strutturali.
Ancor prima che la crisi dispiegasse i propri effetti, l’economia nazionale mostrava i segni di un rallentamento costante. A conferma della scarsa concorrenzialità del sistema nella fase cruciale di questa congiuntura il tasso di inflazione è diminuito in misura inferiore rispetto ad altri Paesi. Occorre vigilare affinché i costi della crisi non siano riversati sui consumatori: il pericolo, latente in tutti i mercati, si manifesta in particolare in quelli caratterizzati da intrecci e posizioni dominanti.

Lo stato delle liberalizzazioni in Italia

Sono da ascrivere tra le cause del deficit produttivo del Paese le illogiche restrizioni che a livello nazionale e locale questa Autorità non smette di denunciare.
È stata approvata dal Senato una disposizione che prevede la legge annuale sulla concorrenza. Confidiamo in questo strumento che consentirà un ampio dibattito parlamentare sullo stato di apertura dei mercati.
Già nel corso del 2008 alcune importanti riforme, varate dal legislatore nazionale, recepiscono nostre indicazioni.
La pubblica amministrazione è soggetta a incisivi processi di cambiamento verso un nuovo sistema di confronto e valutazione delle performance. È un passaggio indispensabile per creare un contesto favorevole allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale.
Per fare un altro esempio, nei servizi pubblici locali è stato generalizzato il ricorso allo strumento della procedura a evidenza pubblica quale meccanismo ordinario di affidamento ed è stato sottoposto a stringenti requisiti l’utilizzo dell’in house. A norma di legge la gara può essere evitata solo se il ricorso al mercato non sia in grado di sopperire alle difficoltà derivanti da “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche”. Fino a oggi il nostro Collegio non ha mai espresso parere favorevole alle deroghe pur richieste dai Comuni.
Ciò lascia sperare che nel settore il processo di liberalizzazione possa finalmente avviarsi. Ma bisogna guardare al futuro: sono troppe le aziende pubbliche che svolgono servizi loro affidati dagli enti territoriali proprietari in palese conflitto di obbligazioni.
La soluzione più efficace è restituire al mercato attività così rilevanti per la nostra economia. Le fondazioni si candidano per natura a un ruolo determinante nella prima fase di privatizzazione dei servizi pubblici. Nel processo di riassetto del sistema bancario italiano hanno favorito la nascita di istituti in grado di competere con le principali banche europee. In una fase come l’attuale svolgono un’importante funzione di sostegno dell’economia; per le modalità di gestione del patrimonio hanno le caratteristiche dell’investitore istituzionale, con vincoli di conservazione e redditività, che possono essere utilizzati per il perseguimento delle finalità di interesse generale.

La modernizzazione del quadro giuridico in senso proconcorrenziale è un processo graduale che richiede perseveranza nel contrastare i rischi di una fenice corporativa alimentata dai gruppi tutori degli interessi di categoria. Il problema riguarda sia la legislazione statale sia quella regionale. In Parlamento va scoraggiato lo stillicidio di iniziative volte a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori.

Nella distribuzione farmaceutica, l’approvazione di riforme che riportino indietro le lancette dell’orologio ripristinerebbe di fatto il monopolio delle farmacie tradizionali, con la conseguente fuoriuscita dei tanti nuovi operatori. In tre anni sono stati aperti quasi tremila corner e parafarmacie. La loro quota di mercato è vicina al 6% dei farmaci di automedicazione. Lo sconto praticato ha margini tra il 3% e il 22,5%. I farmacisti nuovi occupati sono circa cinquemila.

Nel settore assicurativo si profila l’abrogazione della facoltà di recesso annuale nei contratti di durata: la riduzione della mobilità della clientela contribuirà a ingessare un mercato in cui la dinamica competitiva è già notoriamente molto attenuata. Diamo però atto che, sia pur in extremis, si è rinunciato a sopprimere il divieto di clausole di esclusiva tra compagnie e agenti: l’emendamento avrebbe ripristinato il c.d. monomandato, vanificando in radice la liberalizzazione avviata tre anni fa.

Per la distribuzione del gas questa Autorità più volte si è espressa a favore del mantenimento di un tetto antitrust indispensabile per favorire una concorrenza effettiva nel settore. Si è altresì sottolineato che dovrebbe trattarsi di una misura flessibile, che tenga conto delle nuove quantità attese con l’entrata in funzione del rigassificatore di Rovigo, delle trasformazioni del mercato e degli andamenti della domanda. Il suggerimento è stato per ora accantonato, ma ci auguriamo che possa essere discusso, quantomeno in sede di predisposizione del decreto delegato di attuazione. L’indagine sullo stoccaggio ha evidenziato la necessità di eliminare le barriere amministrative che impediscono lo sviluppo di nuova capacità: le norme che ne disciplinano l’allocazione devono ispirarsi a criteri di mercato per facilitare le decisioni di investimento.

Il processo di apertura dei mercati deve essere riavviato.
Importanti appuntamenti attendono il Paese: alta velocità ferroviaria, disciplina del trasporto del gas, digitale terrestre e satellitare, banda larga e comunicazioni elettroniche di nuova generazione. Siamo ben consci che gli investimenti pubblici e privati devono avere i ritorni attesi.
Sappiamo che alcune forme di separazione tra rete e servizio sono di per sé onerose.

Ma l’appuntamento più importante è quello con la concorrenza.
Non ci saranno aperture né ampliamenti se prevarranno sempre gli incumbent, se non daremo fiducia alle nuove iniziative economiche, se sceglieremo ogni volta la soluzione meno destabilizzante per i vigenti equilibri.
Abbiamo chiaramente espresso queste preoccupazioni con le nostre recenti indagini, segnalazioni e audizioni in Parlamento.
Ma non sarà sufficiente la regolazione. Servirà un’attenta vigilanza: i monopolisti resistono anche alle riforme già approvate, come in più occasioni hanno dimostrato di saper fare. Infatti molte delle nostre istruttorie per abuso di posizione dominante sono volte a contrastare comportamenti elusivi delle liberalizzazioni.

Suscitano preoccupazione anche le discipline locali che da tempo evidenziano pulsioni vincolistiche spesso in aperto contrasto con gli indirizzi del legislatore nazionale.
Nella distribuzione commerciale l’Autorità ha ripetutamente segnalato i numerosi limiti in materia di orario di apertura degli esercizi che le normative regionali continuano a imporre.
Per i carburanti, a dispetto della liberalizzazione disposta a livello nazionale, numerose Regioni hanno introdotto il divieto di autorizzazione di nuovi punti vendita se non dotati anche di impianto per la somministrazione di GPL o gas metano.
Le medesime considerazioni valgono per molti altri settori di competenza degli enti locali: dalla gestione dei rifiuti, alla distribuzione dei farmaci, dai centri di telefonia fissa, ai regimi di apertura delle grandi superfici commerciali.
L’auspicio è che, anche grazie a una giurisprudenza costituzionale attenta a censurare le scelte delle Regioni per violazione del canone concorrenziale, si riesca a tessere un dialogo concreto tra questa Autorità e le autonomie locali nei processi di revisione normativa.

La repressione delle intese restrittive della concorrenza e degli abusi di posizione dominante

Nel periodo di riferimento è proseguita l’azione contro i cartelli e gli abusi di posizione dominante: abbiamo concluso ben venti istruttorie.
Dieci procedimenti riguardavano intese restrittive della concorrenza. In sei casi la procedura si è chiusa con l’accertamento della violazione e con multe per un ammontare complessivo di oltre ventotto milioni di euro.
In quattro casi abbiamo accettato, rendendoli obbligatori, gli impegni presentati dalle parti. Particolare rilevanza cominciano ad avere, nelle istruttorie ancora aperte, i programmi di clemenza (leniency) varati a livello nazionale ed europeo. Importanti operatori del mercato hanno collaborato con l’Autorità denunziando cartelli cui avevano partecipato. È un buon segno per l’Istituto, la cui attività repressiva mostra tangibili segnali di deterrenza.

Quanto agli abusi di dominanza, nel 2008 abbiamo irrogato sanzioni per tre milioni di euro.

Delle dieci procedure concluse nell’anno ben otto hanno visto gli indagati impegnarsi per rimediare alle preoccupazioni concorrenziali dell’Autorità. La strategia degli impegni ha pagato. Si registrano risultati positivi: solo per citare due esempi, il settore della telefonia mobile ha visto l’ingresso degli operatori virtuali; nei servizi postali il nostro intervento ha garantito la sopravvivenza di imprese che potranno svolgere un’effettiva concorrenza nel momento in cui il mercato si aprirà completamente.
Siamo stati i primi, ma non siamo rimasti soli: la Francia ha concluso con impegni ventidue procedure e la Commissione europea dodici.
Abbiamo impiegato tutte le competenze conferiteci dalla legge per accrescere il grado di concorrenza, in collaborazione con i regolatori. Gli impegni non sono imposti dall’Autorità, ma proposti dalle imprese. Noi li rendiamo vincolanti quando sono davvero utili a dissipare le preoccupazioni di ordine concorrenziale che ci avevano indotto a intervenire.
Non è una scorciatoia. Chiusa l’istruttoria, il nostro lavoro continua con il monitoraggio del mercato e dei comportamenti degli obbligati. Già abbiamo in corso una procedura per inottemperanza.
Nel periodo abbiamo aperto altre ventuno istruttorie: otto per intese e tredici per abuso.

La tutela dei consumatori

A più di un anno dall’entrata in vigore della normativa sulle pratiche commerciali scorrette l’intervento a tutela del consumatore è diventato una priorità dell’Istituto. È nostro dovere operare affinché il mercato si presenti come una casa di vetro: la trasparenza ispira fiducia e garantisce la libertà di scelta dei singoli.
I cittadini e le associazioni consumeristiche sono i principali promotori dei nostri interventi. La partecipazione è documentata dall’aumento esponenziale delle segnalazioni quotidiane. Nel 2008 sono giunte circa tremila denunce scritte, con un incremento pari al 75% rispetto all’anno precedente.
I dati diventano più significativi se si prende in considerazione l’attività del call center, istituito presso l’Autorità da oltre un anno. Abbiamo registrato quindicimila segnalazioni. La maggior parte riguarda il settore delle telecomunicazioni (61%).
L’istituzione del numero verde risponde alla precisa volontà di offrire ai cittadini un mezzo immediato per veicolare le proprie istanze e costituisce un prezioso strumento per conoscere il grado di insoddisfazione dei consumatori.
Solo per le scorrettezze commerciali l’importo complessivo delle sanzioni pecuniarie comminate dall’Autorità nel corso del 2008 e nei primi mesi del 2009 ha registrato una decisa crescita rispetto al periodo precedente, superando i cinquantadue milioni di euro.

Non sempre il giudice ha ritenuto la legittimità dei nostri provvedimenti, anche se la percentuale dei ricorsi respinti è di gran lunga superiore alle sentenze di annullamento.

Il diritto dei consumatori apre nuove frontiere di garanzia per i cittadini.
Per la prima volta nel 2005 si afferma in Italia, con il codice del consumo, un concreto principio di origine comunitaria, già vigente in altri Paesi: le tutele riservate alle parti contrattuali devono favorire il consumatore. Non solo una tutela formale, che era già prevista nel codice civile, ma sostanziale: il professionista dimostra diligenza e correttezza se costruisce con il consumatore un rapporto negoziale privo di vessazioni e rispettoso delle attese della parte più debole e meno informata circa i possibili rischi, le onerosità, le indeterminatezze di un’offerta contrattuale.

Nel 2007 il legislatore ha indicato una serie di comportamenti che in ogni caso devono essere sanzionati dall’Autorità, in quanto tipizzati come illeciti; ma ha anche previsto le clausole generali della correttezza, della diligenza e della lealtà i cui contenuti vanno ricercati alla stregua del criterio della buona fede oggettiva.
Secondo l’Autorità non si erano comportate in conformità a quel criterio le banche che, potendo praticare la surroga nel mutuo a costo zero per il consumatore, come previsto dalla legge, offrivano invece soluzioni onerose.
L’azione repressiva ha avuto successo nonostante la sconfitta subita nel primo grado di giudizio: oggi molte delle parti coinvolte nel procedimento negoziano la surroga a titolo gratuito. È nostra speranza che le buone prassi innescate dall’istruttoria non si interrompano per effetto delle sentenze del TAR in attesa del verdetto del Consiglio di Stato.
Non c’è dubbio che gli enti creditizi siano imprese e debbano perseguire logiche di profitto per i soci e per i futuri investimenti. Ma stabilità e redditività discendono anche da fattori reputazionali, che oggi sembrano compromessi più che in altri periodi: parte della sfiducia è dovuta alle prassi contrattuali spesso troppo articolate e difficilmente comprensibili da parte dei risparmiatori.
A questo si può e si deve rimediare: vanno fatti ulteriori passi in avanti sulla strada della trasparenza, intrapresa solo ora con timidezza.
Centrale è il rapporto degli istituti di credito con le piccole e medie imprese. Pur non avendo specifica competenza, riceviamo molte denunce da questo fondamentale settore produttivo e registriamo un alto grado di insoddisfazione.

La crisi ha prodotto effetti simili in Europa e negli Stati Uniti, con l’aumento omogeneo di particolari ingannevolezze favorite dal bisogno: false offerte di lavoro, promozioni di prodotti civetta, finte vendite sottocosto, promesse di vincita alle lotterie, proposte reticenti che alimentano il miraggio di un facile credito al consumo.

Si è anche registrato un incremento delle segnalazioni di pubblicità occulte. Il Collegio ha già sottolineato la necessità che le sponsorizzazioni, le pubblicità e gli inviti agli acquisti siano riconoscibili come tali. Occorre infatti che i cittadini siano resi edotti delle finalità promozionali dell’informazione commerciale.

Ancora in crescita la prassi sleale di attribuire a cibi, integratori alimentari, pillole e cosmetici poteri miracolosi di salvaguardia della salute e della forma fisica.

I nuovi principi di tutela devono fondarsi sulle basi di una solida democrazia economica e radicarsi nella cultura di cittadini e imprese. Devono essere recepiti da una giurisprudenza costante e omogenea, sì da rendere prevedibili le reazioni dell’Autorità.
Tuttavia, il ruolo dell’Istituto non deve limitarsi alla mera censura delle condotte sleali. Potremmo esercitare anche una funzione di orientamento verso prassi commerciali virtuose nei mercati in cui le scorrettezze risultano più rilevanti.
Si potrebbe ipotizzare l’introduzione nel nostro ordinamento di strumenti di consultazione o verifica preventiva che forniscano certezza ai soggetti interessati con beneficio dell’intero sistema.
Nello stesso tempo è necessario potenziare gli strumenti sanzionatori e ampliare il raggio di intervento dell’Antitrust fino alle pratiche commerciali scorrette ai danni delle piccole e medie imprese. Dovremmo avere competenza anche in materia di clausole vessatorie: in meno di un anno riusciremmo a eliderle nei più diffusi contratti di serie. Infine potrebbe esserci riconosciuto un ruolo più incisivo nell’istituto della class action che in Italia, per la resistenza di pochi, stenta a trovare giusta considerazione. L’anno scorso avevamo auspicato che il rinvio dell’entrata in vigore della legge introduttiva servisse a migliorarla. La soluzione che oggi si profila sembra di segno contrario e le associazioni dei consumatori sono rimaste sole nell’affermazione di un principio di civiltà giuridica.

Il conflitto di interessi

Un accenno all’attività svolta in applicazione della disciplina legislativa in materia di conflitto di interessi delle autorità di governo.
Siamo pienamente consapevoli della particolare delicatezza del tema e dei suoi inevitabili riflessi sul terreno del confronto politico.
Più volte il Collegio ha evidenziato che la disciplina è ben chiara sugli aspetti statici delle incompatibilità tra cariche di governo e altri incarichi pubblici e privati; è invece macchinosa sul manifestarsi dinamico del conflitto, il cui accertamento è subordinato al verificarsi di molteplici e vincolanti condizioni. L’articolo 6, comma 5, prevede che in assenza di quelle condizioni l’Autorità non possa procedere alle verifiche di competenza. In particolare nessuna istruttoria può essere aperta se non in presenza di un atto di governo.
In alcuni casi ci troviamo di fronte a denunce che tendono a sollecitare il nostro intervento al di là di quanto consentito dalla legge. Il Collegio può interpretare le norme alla luce della loro ispirazione, ma non modificarle. Si rischierebbe di snaturare ruolo e compiti dell’Antitrust e di pregiudicare quelle caratteristiche di indipendenza che si sono radicate nell’Istituzione sin dalla sua genesi.
In questo periodo il rapporto con il Parlamento si è intensificato. Nel corso dell’anno abbiamo riferito ben dodici volte presso commissioni di Senato e Camera.
È il segno di una crescente attenzione del Parlamento nei confronti dei nostri argomenti: questo ci inorgoglisce e ci sprona a lavorare con maggiore impegno, consapevoli che la nostra autonomia di giudizio non è sottratta al controllo di garanzia della Sede diretta depositaria della rappresentanza democratica del Paese.

* Presentazione sulla Relazione annuale sull’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato 2008, tenuta il il 16 giugno 2009 presso la Camera dei Deputati

Antonio Catricalà è Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Per informazioni: www.agcm.it