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Un Paese da modernizzare. Le imprese del largo consumo scelgono l'innovazione

Creatività, coraggio, proattività, efficienza, eticità sono doti oggi più che mai necessarie per superare la difficile congiuntura in cui versa l’economia mondiale. Sono i principi cui ispirarsi per modernizzare l’Italia. È questo, in sintesi, il messaggio emerso dal convegno annuale di Indicod-Ecr dal titolo ”Oltre la crisi: modernizzare il Paese. Il contributo del largo consumo“, che si è svolto il 28 gennaio scorso a Milano al Teatro Strehler davanti a una platea di più di 500 imprenditori e manager dell’industria e della distribuzione, esponenti delle istituzioni e rappresentanti dei media.

«La situazione è difficile. La crisi è sentita profondamente anche dalle imprese del largo consumo, come testimonia il netto calo del clima di fiducia emerso dall’ultima edizione del nostro Osservatorio economico: dall’82,1% del primo semestre 2008 al 72,3% nel secondo semestre, il dato più basso degli ultimi quattro anni», ha detto Giuseppe Brambilla di Civesio, presidente di Indicod-Ecr e amministratore delegato di Carrefour Italia. «Nel paragone con gli altri paesi europei, comunque, è confortante il fatto che l’indebitamento delle famiglie italiane è notevolmente più contenuto, addirittura la metà di quello delle famiglie spagnole. E ciò ha evitato ai consumatori di dover tagliare drasticamente i loro consumi. Guardando avanti con un po’ d’ottimismo, crediamo che questa congiuntura possa trasformarsi in un’opportunità per modernizzare il Paese, che il costo del non cambiamento sia senz’altro più alto di quello del cambiamento». In un Paese d’eccellenze individuali e di debolezza collettiva come l’Italia, Giuseppe Brambilla di Civesio ha insomma esortato il mondo del largo consumo ad agire come sistema, a collaborare per dare unitariamente il suo contributo alla modernizzazione del sistema Italia.

Modernità che – come è emerso dall’indagine realizzata da Ispo per Indicod-Ecr e presentata al convegno da Renato Mannheimer, presidente di Ispo – è percepita dagli italiani come innovazione che semplifica la vita e che porta vantaggi all’intera comunità. «Gli italiani» ha detto Renato Mannheimer «pur giudicandosi individualmente moderni (69% delle risposte, ndr), riconoscono al nostro Paese una modernità soltanto potenziale, convinti come sono che l’Italia gestisca le sue tante emergenze in modo del tutto estemporaneo, pensando all’oggi invece che al domani». In una nazione in cui la politica e la burocrazia sono vissute come i principali ostacoli al cambiamento, supermercati e ipermercati sono invece presi a simbolo di modernità (67% delle risposte). E ne escono bene anche le grandi e le piccole e medie imprese (rispettivamente con il 46 e il 40%).
Quanto ai requisiti di un prodotto di largo consumo per essere giudicato moderno, anche in tempi di crisi come gli attuali, gli italiani guardano innanzitutto alla sostenibilità e all’eticità, subito dopo alla praticità, comodità e velocità di fruizione e quindi alla qualità, salubrità e al legame con la tradizione.

Non per niente, come ha sottolineato Jacques Attali, presidente dell’associazione PlaNet Finance, essere moderni significa anche essere orgogliosi delle proprie radici e su di esse costruire per garantire un futuro alle nuove generazioni. «Se la location è l’elemento chiave per giudicare la qualità di un investimento immobiliare» ha detto Jacques Attali «la demografia è e sarà cruciale nel processo di modernizzazione globale e dell’Italia. Delle tre sfide che hanno davanti a sé le popolazioni del nostro pianeta - demografia, tecnologia e finanza - l’Italia può vantare solide basi nelle ultime due, ma è molto debole sulla prima. Già oggi è il Paese con la popolazione più vecchia d’Europa e con un tasso di natalità fortemente negativo, che la porterà a perdere 5 milioni di abitanti su 60 nell’arco di 45 anni. Ed è noto che una popolazione vecchia consuma meno ed è meno stimolata a guardare al futuro e quindi a modernizzarsi, mentre le tre priorità del cambiamento sono la conoscenza, ossia il miglioramento del sistema educativo, attraverso una maggiore integrazione fra ricerca e imprese, la mobilità, intesa sia come competizione sia come mobilità sociale, e la governance, ossia la trasparenza e l’efficienza dell’organizzazione del Paese».

Sul fatto che l’Italia si trovi in condizioni migliori di altre nazioni nell’attuale momento di crisi mondiale, concorda Francesco Daveri, professore di politica economica all’Università degli Studi di Parma. «Le nostre difficoltà» avverte, però, Francesco Daveri «sono cominciate prima. È dal 1995 che il Pil del nostro Paese cresce meno rispetto a quello di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. In 13 anni abbiamo perso altrettanti punti di Pil. E in queste condizioni, se nella politica nazionale prevarrà la spinta protezionista, rischiamo d’andare incontro a una recessione a L, invece che a V o a U». Facendo leva sulle peculiarità economico-sociali dell’Italia, Daveri ha esortato la platea ad adottare il modello delle «punture di spillo», delle iniziative individuali e quotidiane che, sommate, possono modernizzare il Paese senza attendere aiuti o forme di protezionismo dalle istituzioni e senza attendere che i governi varino pur auspicabili riforme. Due esempi di punture di spillo? Ermenegildo Zegna, il primo marchio italiano a sbarcare in Cina con propri negozi già nel 1981, e Buzzi Unicem (cemento), che già alla fine degli anni Settanta ha avviato un processo d’internazionalizzazione, nonostante le restrizioni d’allora agli investimenti all’estero.

Miguel A. Lopera, presidente e ceo di GS1, e Bruno Aceto, direttore generale di Indicod-Ecr hanno quindi portato all’attenzione della platea il contributo che gli standard e le soluzioni Gs1 hanno dato e possono dare al miglioramento del livello d’efficienza delle aziende.
Bruno Aceto, in particolare, ha annunciato la nascita di Indicod-Ecr Servizi. «Si tratta di una società» ha detto «che ci permetterà d’andare ancora di più incontro alle aziende e d’offrire un aiuto concreto nell’adozione delle nostre soluzioni». Ha anche invitato i partecipanti alla presentazione, il 25 febbraio prossimo a Milano, del Catalogo elettronico, un sistema ideato per la sincronizzazione dei dati anagrafici sui prodotti che può generare consistenti benefici: un abbattimento del 7% dei tempi della gestione amministrativa e del 4% degli out of stock.

Come ormai tradizione, l’incontro annuale di Indicod-Ecr si è concluso con una tavola rotonda, coordinata dalla giornalista di Sky Tg24, Sarah Varetto, cui hanno partecipato Pierluigi Bernasconi, amministratore delegato di Mediamarket, Valerio Di Natale, presidente e amministratore delegato di Kraft Foods, Aldo Sutter, amministratore delegato e direttore generale del Gruppo Sutter, Vincenzo Tassinari, presidente e amministratore delegato di Coop Italia, e Jacques Attali.
Proprio l’economista francese, aprendo la discussione, ha sottolineato l’importanza di un’ampia partecipazione allo sforzo di modernizzazione del Paese che deve coinvolgere le donne, ancora rare nelle posizioni chiave, e i giovani, le cui esigenze vanno ascoltate con più attenzione. «Se siete riusciti ad andare oltre il dualismo Dc Pci», ha detto Jacques Attali, «tutto è possibile».

Ma cosa manca all’Italia per essere un Paese moderno? Una visione strategica hanno risposto Pierluigi Bernasconi e Valerio Di Natale, il coraggio di fare scelte di cambiamento, ha detto Aldo Sutter. «La cultura del lavoro di squadra», ha sottolineato Vincenzo Tassinari. «Come retailer, per esempio, mi sento in panchina. Mentre in Gran Bretagna il 50% del fatturato delle coop è riconducibile alle vendite di farmaci, telefonia, benzina e assicurazioni, in Italia siamo al palo. Interessi lobbistici si sono messi di traverso al processo di liberalizzazione della distribuzione dei carburanti e una riforma di cui avrebbe beneficiato tutto il Paese, del valore dell’abolizione dell’Ici, e per di più a costo zero per lo stato, non si è ancora potuta realizzare».

Quanto al contributo che le aziende del largo consumo stanno dando alla modernizzazione del Paese, «Mediamarket», ha spiegato Pierluigi Bernasconi, «sta favorendo la crescita professionale dei suoi quadri intermedi e direttori di punto vendita, così da metterli in grado di offrire un miglior servizio alla clientela, ma anche di fare carriera all’interno dell’azienda».
«Il contributo che possiamo dare», ha sottolineato Valerio Di Natale, «è mettere a fattore comune la cultura dell’efficienza, molto forte nelle aziende di produzione. In Kraft Foods, per esempio, stiamo lavorando per favorire una leadership diffusa. Per dare ai dipendenti la possibilità di partecipare maggiormente alle decisioni aziendali». «Proprio la cultura dell’efficienza e il taglio degli sprechi», è intervenuto Aldo Sutter, «ci consentono di finanziare l’innovazione, indispensabile per dare risposte a un cliente le cui esigenze sono mutate in conseguenza della crisi». «Sono due le aree in cui la cooperazione di consumo può intervenire», ha detto invece Vincenzo Tassinari. «Nell’immediato consentire a un consumatore con un ridotto potere d’acquisto di far la spesa a prezzi più convenienti. E, per non stravolgere il suo posizionamento strategico, rispondere con la sua offerta anche alla forte domanda, espressa dal consumatore, d’italianità, di sicurezza alimentare, di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente».

La filiera del largo consumo, concordano i protagonisti della tavola rotonda, pur nel soddisfare la richiesta di convenienza degli italiani, deve far attenzione a veicolare una corretta percezione del valore dei prodotti, onde evitare che s’inneschino situazioni di crisi delle aziende, con conseguente perdita di posti di lavoro, e che il settore sia erroneamente considerato responsabile di spinte inflazionistiche, riconducibili piuttosto a settori per nulla o insufficientemente liberalizzati. Il mondo del largo consumo, che vale il 5,3% del Pil nazionale, insomma, non chiede aiuti di Stato, bensì meno burocrazia (secondo Aldo Sutter), sostegno alle fasce deboli (Valerio Di Natale), l’eliminazione di elementi distonici alla concorrenza (Pierluigi Bernasconi), più ascolto dalle istituzioni (Vincenzo Tassinari).


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