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I programmi fedeltà della GDO: tendenze e futuri scenari

l'opinione di

L’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma ha realizzato nel mese di settembre 2006 un’indagine su un campione di imprese della grande distribuzione organizzata per esplorare gli orientamenti circa il futuro delle iniziative di fidelizzazione, in particolare dei cataloghi premi.

Il quadro

  • Le insegne intervistate hanno tutte un catalogo premi, il più “antico” dal 1989, il più recente dal 2002, mediamente da 10 anni.
  • Il 60% dei cataloghi ha durata annuale, alcune insegne hanno cataloghi di 4, 9 o 18 mesi.
  • Le meccaniche di raccolta punti variano da Insegna ad Insegna.
  • La raccolta punti può essere accelerata in giorni/periodi speciali (90% delle insegne) e/o acquistando prodotti “jolly” (100%) ed ha “velocità” diverse a seconda che si tratti di carta fedeltà o di pagamento.
  • I premi: si va da 24 (Despar) ai 216 (Esselunga), in media 68 premi.
  • Il 60% delle insegne ricorre all’outsourcing (fa realizzare e gestire il catalogo da una agenzia), mentre il 40% gestisce il tutto internamente.

L’orientamento per il futuro

Oltre la metà delle imprese intervistate non ha ancora un orientamento definito per il prossimo anno, mentre il 27% cambierà i contenuti del programma stesso, puntando su servizi, prodotti in esclusiva, premi-servizio innovativi (download di brani musicali, pagamento delle bollette, traffico telefonico) e partner; il 9% si darà una nuova organizzazione per quanto riguarda il processo di realizzazione/gestione del programma: ciò che più colpisce è che nessuno intende dismetterlo.

Un fenomeno di grande interesse riguarda il fatto che manca, a mio avviso, nella maggior parte delle imprese, un orientamento a misurare l’efficacia del programma fedeltà stesso. In mancanza di riscontri chiari sui risultati che il programma ha portato, si spiega l’incertezza per il futuro e la perplessità circa il potenziamento dell’investimento stesso.
Pur assegnando al programma – come dice il nome stesso – obiettivi di fidelizzazione della clientela, sembra poi che le imprese si limitino per lo più a misurarne l’efficacia in una prospettiva “di prodotto” – ovvero quanti premi sono stati ritirati – piuttosto che “di cliente”, cioè quanti hanno partecipato, che impatto ha avuto la partecipazione al programma sulla spesa e sulla frequenza di acquisto e così via.

I molti anni che ho dedicato alla creazione di cultura circa l’utilità dei database di informazioni sulla clientela, se analizzati per creare conoscenza di marketing, mi hanno allora suggerito di svolgere qualche analisi per fornire spunti di riflessione su come potrebbe essere misurata l’efficacia di una iniziativa di fidelizzazione.
Grazie a diversi database fidelity messi a disposizione dell’Osservatorio Carte Fedeltà di Parma da insegne della grande distribuzione organizzata, si fa una prima scoperta: aziende diverse hanno diversi gradi di successo quanto a penetrazione del catalogo premi presso la clientela.
L’indice di “penetrazione del catalogo” (% di clienti con carta fedeltà che ha usato i punti per richiedere almeno un premio durante l’ultima edizione del catalogo) va dall’8% - piuttosto deludente, direi! - al 16% fino al 47% nel caso migliore. Già questi dati, assunti come benchmark, dovrebbero fare riflettere e spingere le aziende che ancora non lo fanno a calcolare il proprio tasso di penetrazione del catalogo magari per anni diversi, monitorando come si è mosso nel tempo.

Se il coinvolgimento del numero maggiore possibile di clienti nel programma di fidelizzazione può già di per sé essere un obiettivo, ancora più interessante è misurare la “qualità” dei clienti che utilizzano il catalogo. Uno degli argomenti addotti solitamente a sostegno degli investimenti nei programmi fedeltà e club è che sono i clienti migliori a farne parte, dove per migliori intendiamo quelli che spendono di più e/o frequentano più spesso il punto vendita; sorprende però che questo argomento sia raramente supportato da dati derivati dal programma stesso, perlomeno nelle imprese da me intervistate.
Ho intrapreso dunque un’ulteriore semplice analisi dei profili dei clienti che partecipano alla raccolta punti con catalogo, ed è emerso che:

  • la frequenza di visita media al punto vendita è risultata di 100 volte all’anno peri clienti che prendono almeno un premio dal catalogo, contro 46 volte della media della clientela ed addirittura contro sole 36 visite all’anno dei clienti che hanno la carta ma non richiedono premi;
  • lo scontrino medio dei clienti che redimono i premi è di 25 Euro a visita,di poco superiore alla media della clientela (24 euro) e dei clienti che non richiedono premi (23 euro) ma, data l’enorme differenza citata per quanto riguarda la frequenza;
  • il valore a fine anno degli acquisti dei clienti che appartengono al programma risuta 2460 euro, più del doppio della media della clientela (1090 euro) e oltre il triplo di quanti non partecipano al programma (828 euro).

Volendo tradurre i risultati ora citati in una immagine a noi nota – ovvero nella classica distinzione dei clienti in “gold”, “silver” e “bronze”, possiamo dire che stabilita la soglia di spesa annua oltre la quale un cliente può essere considerato “gold” per l’azienda, la clientela che prende i premi del catalogo è composta per il 70% di gold e per il restante 29% di silver, mentre solo l’1% si classifica come “bronze” (Figura). Un quadro tutto diverso da quanto rivela la classificazione per soglie di spesa dei clienti con carta che non richiedono premi: qui solo il 23% di loro è gold.
Si noti per inciso che l’azienda, grazie al database clienti, potrebbe attivare iniziative di contatto diretto con questi clienti “pregiati ma disattenti” per richiamarne l’attenzione alla possibilità di usare i punti accumulati per ottenere i premi del catalogo e anche per capirne le ragioni di disinteresse.
(Figura 1 – I clienti che redimono i premi sono più profittevoli per l’impresa)

Purtroppo la mia indagine ha anche verificato che solo il 15% delle imprese conduce periodicamente sondaggi indipendenti sulla clientela per verificare la percezione e il gradimento del catalogo: più spesso questi sono dedotti supinamente dal numero di premi riscossi, un indicatore senz’altro interessante ma non esauriente in una prospettiva di cliente e di valore di marketing.

Il messaggio che senz’altro mi sento di lanciare riguarda il fatto che il maggiore valore di marketing dei programmi di fidelizzazione risiede nella conoscenza relativa ai clienti che essi dischiudono, grazie ai database di dati comportamentali oltre che anagrafici, che contribuiscono a costruire. È pur vero che il programma fedeltà deve reggersi da solo dal punto di vista economico: questo non dev’essere però l’alibi dietro cui nascondersi quando si decide di tagliare gli investimenti in quest’area. Il punto di pareggio può ben essere spostato più in là, quando si considera il valore che può rivestire per l’impresa la conoscenza di cliente. Nel caso della mia ultima indagine, i dati dei programmi fedeltà delle insegne coinvolte hanno consentito di arrivare a misure dell’efficacia del programma stesso: un indubbio beneficio per le future scelte di marketing.

Le iniziative di fidelizzazione hanno due facce: quella visibile, facilmente imitabile, del catalogo, dei premi, dei punti e quella invisibile, più preziosa e strategica per creare valore nel lungo periodo, che è quella contenuta nel database clienti. I due strumenti si alimentano e rafforzano a vicenda: senza i premi del catalogo i clienti non hanno incentivo ad usare la carta, cosicché presto il database diventa lacunoso ed inutilizzabile, mentre senza l’analisi dei dati raccolti con le carte non si può misurare e migliorare l’efficacia di una promozione onerosa e importante come il catalogo.
(Figura 2 – Le carte fedeltà nella GDO italiana)