economia

L’agroalimentare italiano perde competitività sui mercati internazionali

La competitività dell’agroalimentare italiano sui mercati internazionali mostra segni di difficoltà. Una situazione che riguarda anche la decina di prodotti che da soli rappresentano il 60% del nostro export. Lo ha evidenziato il IV Rapporto Federalimentare-Ismea “Il made in Italy alimentare alla prova della concorrenza” presentato a fine settembre a Roma. Il settore agroalimentare è il secondo comparto produttivo dopo quello meccanico con un fatturato di 107 miliardi di euro. Complessivamente, però, il valore dell’export assomma a 16 miliardi di euro, pari ad appena il 14% del fatturato del settore (la media europea è del 18%).

Negli ultimi cinque anni il tasso di crescita delle esportazioni ha rallentato mentre l’evoluzione delle ragioni di scambio (differenza tra prezzo di vendita all’estero e di acquisto) pone molti prodotti in posizioni scarsamente competitive. Si confermano comunque solidi, e in grado di reagire alla concorrenza, i comparti vino, frutta fresca, pasta, olio d’oliva, formaggi, ortaggi in scatola, dolci da forno, salumi e insaccati, succhi di frutta e riso che nell’arco dell’ultimo decennio hanno dimostrato di saper mantenere la propria capacità competitiva. L’analisi dell’evoluzione storica di quelli che sono stati definiti i “nostri campioni”, però, rivela che anch’essi non risultano del tutto immuni alla perdita di terreno generale. Negli ultimi cinque anni il saldo complessivo con l’estero di questo gruppo di prodotti è salito da 6,1 a 6,6 miliardi di euro correnti. Tuttavia, se si compara la performance ottenuta dagli stessi prodotti nella seconda metà degli Anni 90 con l’andamento degli ultimi cinque anni si registra un considerevole rallentamento: il ritmo di crescita annua è sceso dal 6,4% del primo periodo all’1,7% del secondo. Se l’analisi si effettua poi utilizzando il più sofisticato indicatore del saldo normalizzato (che tiene conto del rapporto del volume di scambio complessivo rispetto alla differenza tra export ed import) il risultato negativo viene sostanzialmente confermato. Nella seconda metà degli Anni 90 il rallentamento del saldo normalizzato era pari al -1,4% annuo, mentre nei primi cinque anni del nuovo millennio ha accelerato la discesa al -2,2% annuo. Ciò vuol dire che a partire dalla fine degli Anni 90 la competitività del nostro sistema agroalimentare, anche nei suoi prodotti di punta, ha cominciato a perdere terreno in ambito internazionale.

Se si guarda all’evoluzione delle quote di mercato verso l’estero comparando sempre l’andamento degli ultimi cinque anni rispetto al quinquennio precedente, i risultati migliori sono stati ottenuti da vino, formaggi e olio d’oliva, mentre la flessione più vistosa (quasi il 3%) ha riguardato frutta fresca, succhi di frutta e riso. Tengono bene comparti solidi come quello della pasta, dei salumi e insaccati, dei prodotti da forno e degli ortaggi in scatola.

Lo studio dimostra chiaramente che sui mercati internazionali funzionano sempre di più i prodotti trasformati ad elevato contenuto di tradizione, con maggiore valore aggiunto, in grado di evocare meglio il legame con l’Italia.

Il Rapporto Federalimentare-Ismea - che è stato presentato in concomitanza con la classifica sulla competitività del World economic forum che vede l’Italia al 42° posto, con quattro posizioni in meno rispetto allo scorso anno, superata da Ungheria, Lituania, Qatar, Tunisia, Barbados - classifica i “campioni” in tre categorie: “Grandi in espansione” (vino, formaggi, olio di oliva, salumi e insaccati, prodotti da forno), caratterizzati negli ultimi cinque anni da valori elevati di esportazione e tassi di crescita più alti della media; “Grandi maturi” (pasta e ortaggi in scatola), certezze per l’export italiano che, proprio per questo, trovano difficoltà a crescere a ritmi ancora sostenuti; “Grandi in declino” (frutta fresca e succhi), per i quali i grandi volumi di export sono in rapida contrazione. La maggior parte di questi prodotti faticano a tenere il passo della competitività perché, sia a prezzi alti, con maggiore concorrenza qualitativa, sia a prezzi bassi, con maggiore concorrenza da parte dei Paesi emergenti, incontrano serie difficoltà di posizionamento stabile sugli scaffali della grande e piccola distribuzione all’estero. Secondo gli indicatori del Rapporto il vantaggio competitivo del settore alimentare italiano negli ultimi dieci anni si è ridotto del 15,4% mentre la produttività è diminuita nello stesso periodo del 3% a causa della frammentazione aziendale, dell’insufficiente concorrenza nei servizi, di una scarsa tendenza all’innovazione ma soprattutto per colpa di una finanza non a misura d’internazionalizzazione. I competitor storici Francia e Germania complessivamente hanno saputo fare meglio di noi, mentre nuovi paesi si affacciano sui mercati mondiali. Tra i più temibili figura la Spagna, ma anche il Belgio, oltre alla Cina per l’ortofrutta e all’Australia per le bevande alcoliche. Il 79% del nostro export agroalimentare si indirizza verso 12 Paesi, con al primo posto la Germania, seguita da Francia, Stati Uniti e Spagna. (A&T Europe)