economia

Non geliamo la ripresa

l'opinione di

Primo: non gelare la primavera della ripresa. Anzi, fare di tutto perché questa si consolidi, facendo crescere la fiducia di famiglie e imprese, che a sua volta si tradurrà in nuove spinte positive. Il problema dei primi “cento giorni” della politica economica del prossimo governo di Romano Prodi sta tutto qui. Il che sembra poco, anche se non è affatto vero. A volte, infatti, è più facile sbagliare per “eccesso” di interventismo che per inerzia.

Il profilo dell’economia italiana in questo primo scorcio del 2006 appare sufficientemente chiaro. È in atto una ripresa che non appare un fuoco di paglia. Nel primo trimestre abbiamo superato (+0,6 contro lo +0,4%) la Germania. È più che possibile una crescita del Pil, a fine anno, dell’1,5% e forse anche di più. E dopo la “crescita zero” del 2005 – come, francamente, previsto – possiamo lasciarci alle spalle il “declinismo” che strumentalmente, in troppe circostanze, ha attraversato negli ultimi anni il dibattito sul da farsi.

I problemi certo non mancano. Debito e deficit pubblici corrono ad un ritmo che ha costretto l’Europa a richiamarci al rispetto dei parametri di Maastricht. La competitività del Sistema-Italia è bassa, frutto di un altrettanto basso livello di produttività. Sappiamo bene che le privatizzazioni “all’italiana”, senza cioè le liberalizzazioni ed una vera apertura al mercato e alla concorrenza, non si sono tradotte in un beneficio per i consumatori.

Dunque, occorre muoversi. Ma in quale direzione? L’errore da evitare in prima battuta è rimettere mano alle positive riforme già operative (una per tutte, la “legge Biagi”) e immaginare, come per riflesso condizionato, una manovra “lacrime e sangue” dal lato dei conti pubblici. Uno shock violento avrebbe l’effetto, per l’appunto, di gelare la ripresa di primavera. Meglio una strategia più soft, fatta da un lato di controlli rigorosi sulla spesa e dall’altro di un’iniziativa politica in Europa che ci consenta un’operazione di rientro in tempi ragionevoli. Ad esempio, tornare a spingere con forza sul pedale del fisco potrebbe rivelarsi un errore grossolano.

La ripresa va accompagnata in modo da ricreare le condizioni per uno sviluppo duraturo. La fiducia di imprese e consumatori è fattore decisivo. Per le prime, il taglio di cinque punti del “cuneo fiscale e contributivo” (manovra che comunque pesa sul bilancio dello Stato la cifra di 9 miliardi) s’inquadra di sicuro nella strategia di restituire margini di competitività al sistema. Ma rischia di avere gli stessi effetti, limitati nel tempo, delle vecchie svalutazioni competitive se non è parte di un quadro misure tutte orientate a far crescere l’economia.Fiducia dei consumatori, lo dice quasi la parola stessa, significa soprattutto un’occhio attento al livello dei consumi. Al netto delle polemiche teoriche che appassionano gli economisti, la loro crescita è indice quasi sempre di una ventata di fiducia, ingrediente fondamentale dello sviluppo del sistema.

Peraltro, siamo anche di fronte (come ha notato il Censis nel suo ultimo rapporto) ad una diversa percezione di ciò che è consumo e ciò che è investimento, “soprattutto se si pensa che molti dei percorsi di partecipazione attraverso i quali gli individui utilizzano il proprio tempo si possono assimilare a percorsi formativi se non ad attività persino professionalizzanti”.

L’economia del tempo libero e del benessere personale, così come il ritorno ad un consumo consapevole e qualificato, non sono in altre parole un’astrazione. E non sarà un caso se hanno continuato a crescere nelle stagioni grigie del “declinismo”.

Non cogliere queste trasformazioni sarebbe un errore. E ancor più grave sarebbe gelare tutto, ripresa e fiducia comprese, con una manovra vecchio stampo.

* opinionista de "Il Sole 24 Ore"