economia

02. Le opportunità per l’industria e la distribuzione

Tante aziende, diverse strategie per competere su un mercato in forte espansione. In Cina un’azienda industriale come Procter&Gamble ha puntato sull’efficienza distributiva e su un consumatore di fascia media, cui ha proposto brand d’immagine, realizzati localmente a prezzi accessibili avvalendosi di un partner locale. Coca-Cola, per parte sua, ha costruito il suo successo attuando una politica di valorizzazione del marchio, abbinata a una distribuzione efficiente e a bassi costi, in partnership con operatori locali.

Di successo si sta dimostrando però anche il modello di business adottato da due multinazionali che hanno scelto di non allearsi con partner locali. Stiamo parlando di Kfc, che ha puntato in primis sul proprio brand e poi sul value for money, e di Wrigley che ha basato la sua politica d’affermazionesu una distribuzione efficiente, oltre che sull’attrattività del suo marchio. Carrefour e Wal-Mart hanno entrambe puntato innanzitutto su format nuovi per la clientela cinese e sul presidio del territorio, appoggiandosi a partner locali. B&Q e Amway hanno invece privilegiato l’approccio diretto e autonomo, affidandosi la prima a un format innovativo e a una forza vendita efficiente e la seconda alla rete di venditori specializzati e all’efficienza logistica.

Va considerato però che il mercato cinese presenta diverse criticità per le imprese straniere. Quelle da neutralizzare con la massima urgenza, secondo Bain & Company. sono perlopiù di tipo operativo. L’esigenza di realizzare prodotti ad hoc per i consumatori di una determinata regione, per esempio, è risolvibile installando localmente un’unità di ricerca e sviluppo, che modifichi il prodotto o lo inserisca nel giusto canale distributivo per venire incontro alla domanda e alle abitudini dei cinesi.

La necessità di creare le infrastrutture, a sua volta, è risolvibile appoggiandosi a distributori terzi. Una corretta gestione dei canali può essere perseguita addestrando e motivando una forza vendita in grado di occuparsi della clientela primaria e dei distributori. La contraffazione, infine, si può combattere facendo comprendere al consumatore i plus del prodotto originale e svolgendo attività di lobbying presso le autorità locali perché facciano rispettare le normative in tema di lotta alla pirateria (recentemente Ferrero ha registrato un successo in questo campo).

Il limite del divieto di trasferimento all’estero degli utili prodotti in Cina, un tipico rischio finanziario, può essere tramutato in opportunità, reinvestendo i profitti nel paese o realizzando prodotti per l’esportazione. Le barriere all’ingresso di operatori stranieri in determinati settori merceologici (un rischio politico) possono essere superate, invece, individuando un partner locale con i giusti contatti con le autorità cinesi.

Attualmente, in Cina, risultano più profittevoli le attività produttive che non i servizi. I maggiori ritorni nel comparto manifatturiero sono stati realizzati in settori come quelli delle apparecchiature per ufficio e per telecomunicazioni, nei macchinari elettrici e non, nell’acciaio e nel ferro e nei carburanti. Mediamente profittevoli sono risultati i mercati dei macchinari per produrre energia, l’automobilistico, i prodotti chimici e agricoli e, a decrescere quelli del tessile, dei semilavorati, dei metalli e dei minerali. Nei servizi hanno mostrato maggiori potenzialità attività legate ai trasporti e alla logistica piuttosto che servizi finanziari, legali, di raccolta dati, di call center, di software design e di system integration.

Per quanto riguarda nello specifico il largo consumo, la domanda è oggi concentrata geograficamente in alcune aree urbane, dove risiede la maggioranza dei nuclei familiari appartenenti alla classe media. Allo stesso modo il settore dei servizi finanziari presenta indubbie opportunità, pur essendo oggi imbrigliato da diverse restrizioni (comunque inferiori a quelle in ambito assicurativo).

Per le imprese straniere, che normalmente risulteranno più performanti rispetto ai loro competitor locali, sussistono dunque molteplici opportunità d’affermazione in settori merceologici diversi e in fasce di mercato differenti. Come si possono cogliere? Per un’azienda industriale è preferibile approcciare questo enorme mercato esportandovi prodotti realizzati altrove oppure stringere una partnership produttiva o di cobranding con un operatore locale oppure ancora impiantarvi una filiale? Ciascuna di queste opzioni ha dei pro e dei contro. Esportare i propri prodotti in Cina consente di affacciarsi al mercato senza sobbarcarsi un investimento iniziale rilevante, ma espone al rischio di dazi e di vincoli quantitativi all’importazione, oltre che a quello di non avere una visione sufficientemente chiara del mercato, che consenta di cogliere l’evoluzione della domanda e l’aprirsi di nuove opportunità di business.

L’approccio in partnership, da un lato, consente una più rapida penetrazione sul mercato e di avvantaggiarsi della conoscenza delle opportunità di massimizzare i profitti e di abbattere i costi di produzione. Dall’altro, però, espone l’azienda al rischio che il socio locale si trasformi in tempi più o meno rapidi in un concorrente. Impiantare una propria filiale, infine, offre i vantaggi della piena autonomia decisionale, di una produzione che rispetta standard globali e che applica le best practices globali, ma richiede grossi investimenti e presenta rischi operativi elevati.

In qualsiasi modo si decida di affrontare il mercato cinese, secondo Bain & Company. nella fase iniziale le imprese straniere hanno finora mostrato maggiori possibilità d’affermazione quando si sono concentrate su segmenti piuttosto che su mercati, quando hanno curato l’aspetto logistico e quando hanno fatto investimenti adeguati per porre basi solide, a partire dalle quali andare alla conquista del mercato. Alle aziende produttive del largo consumo, in particolare, Bain consiglia di focalizzarsi su segmenti premium e di proporre i propri brand ai principali operatori della distribuzione moderna locale, che andranno serviti da una rete di vendita ad hoc. La clientela minore potrà essere raggiunta tramite distributori locali. La strategia vincente di un distributore consisterà invece nel focalizzarsi su canali di vendita moderni in rapida espansione e nel puntare a raggiungere l’eccellenza operativa.

Nella successiva fase di consolidamento dell’attività in Cina, le aziende estere potranno poi dedicarsi a espandere il loro raggio d’azione in senso sia geografico (in città secondarie) che merceologico (segmenti non premium o nuove categorie, non mirando necessariamente a una crescita organica, ma prendendo anche in considerazione acquisizioni e/o joint venture) così da aumentare la massa critica e abbattere i costi sia produttivi che di distribuzione. Potranno quindi impiantare filiali per abbattere i costi operativi.

Oltre che rappresentare per un’azienda un ulteriore mercato di sbocco, la Cina può anche rivelarsi un “mezzo” per abbattere i costi. Trasferire in questo paese i propri centri di ricerca e sviluppo, o approvvigionarsi/produrre qui può consentire, infatti, risparmi nell’ordine del 20-40%. Economie possono derivare anche dal ricorso a manodopera cinese specializzata e non a basso costo, da incentivi a chi investe nel paese, a costi fissi più contenuti. Sebbene, come detto, i rischi operativi, finanziari e politici non manchino, essendo essi per lo più di natura macroeconomica, sono destinati a diminuire nel tempo. (ha collaborato Luisa Contri)

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