economia

01. Oltre la Muraglia

Nell’arco di dieci anni la Cina è stata protagonista di una trasformazione senza precedenti. Oggi non è più il paese che sforna merci di scarsa qualità, beni di basso costo e prodotti contraffatti. Crederlo, ostinarsi a difendere questa tesi, significherebbe ignorare un cambiamento che travalica i problemi contingenti creati alle imprese di tutto il mondo. Quella che sta prendendo forma, infatti, è una potenza economica e politica di rilevanza globale, ambiziosa, ricca di risorse, dotata posizioni negoziali sempre più forti e di grandi risorse tecnologiche e finanziarie. Una potenza che, per la più parte dei ricercatori, farà sentire i suoi effetti sugli affari, sul lavoro e sui consumi di tutta la popolazione mondiale.

Il paese, storicamente leader dei settori labour intensive, gradualmente ha ampliato i suoi interessi ai mercati innovativi a più alto valore aggiunto. “Oggi è uno dei principali fabbricanti di semiconduttori, di apparecchiature per le telecomunicazioni e un giorno lo sarà anche di automobili ed aerei”, spiega Oded Shenkar, docente di management all’Ohio State University, studioso della Cina e consulente di numerose società statunitensi. “Le imprese locali puntano ad assumere il ruolo di produttori di tecnologie proprietarie in grado di guidare la marcia dello sviluppo. Il paese farà leva sul suo predominio nei settori labour intensive e a medie tecnologie per finanziare il suo balzo nell’area delle knowledge intensive che in futuro guideranno l’economia. In questo modo tramuterà presto la sua forza economica crescente in statura geopolitica per controbilanciare gli Stati Uniti e userà il suo peso politico per promuovere i suoi interessi economici”.

Le previsioni contenute in una ricerca realizzata da Bain&Company dicono che nel ventennio 2000 – 2020, il tasso di crescita del Paese sarà superiore al 7,6%, in linea con quello registrato tra il 1980 e il 2000: +7,4%. Negli stessi periodi sono invece previsti rallentamenti in Europa (dal 5,4% al 2,1%) e negli Stati Uniti (dal 6,4 al 3,2%). Il pil cinese crescerà, in una fase di formidabile accelerazione del processo di globalizzazione, di comparsa di potenti istituzioni multilaterali (come la World Trade Organisation), di pressioni crescenti associate con la ristrutturazione economica dei grandi paesi industrializzati. La banca d’affari Merryl Linch prevede che i cinesi diventeranno il primo mercato per i prodotti di lusso Made in Italy entro quattro i cinque anni, superando così americani e giapponesi. Sette su dieci dei telai esportati dall’industria meccanica bergamasca Itema oggi finiscono in fabbriche cinesi. I macchinari per la lavorazione tessile sono la prima voce dell’export italiano in Cina, dove stanno investendo da tempo con successo diverse industrie italiane: da Merloni a Luxottica a Snaidero, tanto per citare alcuni marchi noti.

Dagli impianti industriali cinesi escono il 70% della produzione mondiale di giocattoli, il 60% delle biciclette, il 50% delle scarpe, il 30% delle valigie. In un settore come il tessile abbigliamento, dopo l’ingresso del paese nel Wto e l’eliminazione delle limitazioni al commercio internazionale, la Cina guadagna progressivamente quote di mercato. Nell’high tech le cose non vanno diversamente: in Cina si producono il 50% dei forni a microonde mondiali, il 33% dei televisori e dei condizionatori d’aria, il 25% delle lavatrici e il 20% dei frigoriferi. La quota di mercato nel settore dei computer si è raddoppiata in cinque anni. Nel 2005 Lenovo ha acquisito per 1,75 miliardi di dollari la divisione personal computing di Ibm, creando la terza azienda più grande al mondo nel mondo pc.

Per le aziende della moderna distribuzione il pianeta Cina è straordinariamente ricco di opportunità. La crescente attenzione al prezzo (di per se non positiva per il sistema) richiede ai fornitori una capacità produttiva consistente e tempi di risposta immediati per venire incontro ai cambiamenti dei gusti dei consumatori o a picchi di domanda legati all’attività promozionale. E il paese soddisfa alla perfezione queste esigenze. Non a caso Wal Mart, colosso statunitense dell’every day low price, da solo vale il 10% delle importazioni Usa dalla Cina. Secondo le statistiche, nel 2003 la catena fondata da Sam Walton ha acquistato prodotti cinesi per 13 miliardi di dollari, che ne fanno un importatore più grande di nazioni come Francia, Gran Bretagna.

Una trasformazione epocale

Ma l’evoluzione in atto non riguarda solo gli assetti commerciali e produttivi. Quindici anni fa la Cina non aveva un’economia di mercato. Oggi una città come Shanghai, allora “decrepita e stagnante” (sono le parole di Federico Rampini, corrispondente da Pechino di Repubblica) è una metropoli in costante trasformazione. “È bastato far saltare il tappo del Maoismo”, sottolinea Rampini “che aveva represso infinite energie nascoste per far avverare il prodigio. La disciplina e l’obbedienza di un popolo per il quale il lavoro è tuttora una benedizione; il leggendario talento commerciale; la parsimonia delle famiglie; il rispetto confuciano per l’istruzione: tutto ciò ha consentito il verificarsi del miracolo cinese, quel grande balzo in avanti che non era riuscito a Mao Zedong. Oggi Shanghai ha una business school di fama mondiale, che si colloca ai primi posti nella graduatoria del Financial Times. È la China Europe International Business School, finanziata da una lunga lista di aziende – da Philips a Bayer, da Alcatel a Colgate, da Axa a Lvmh – dove la lingua ufficiale è l’inglese. Il 70% degli studenti è cinese e il restante 30% di origine statunitense od europea. Un anno di frequenza costa sui 20mila dollari; i corsi intensivi per i manager 40mila. Qui è in funzione uno dei dieci supercomputer più veloci del mondo (la Cina, complessivamente, dispone di 14 dei 500 più potenti in attività sulla terra). Nel quartiere di Pudong, con grattacieli, negozi, gente che fa shopping (la qualità del servizio è senza pari in Occidente), un treno a sospensione magnetica che fila a 300 chilometri orari.

A Pechino Ikea ha inaugurato il suo secondo punto di vendita (ne ha dieci in tutta la Cina), frequentatissimo dai ventenni del nuovo ceto medio. La sua presenza è diventata un fenomeno sociale. Ogni sabato la coda di auto in fila per il posteggio supera i due chilometri.

Pechino e Shanghai sono tra i simboli di una Cina in costante trasformazione, che ogni anno sforna 4 milioni di laureati (350mila ingegneri) e ha abbracciato con decisione la cultura dello sviluppo e del mercato. Una nazione piena di contraddizioni, certo, dove la crescita delle libertà personali non è stata affiancata da quella delle libertà politiche. Dove centinaia di milioni di persone vedono nel posto in fabbrica un’occasione straordinaria per cambiare radicalmente le loro condizioni di vita, fuggire alla miseria del lavoro contadino e a un’esistenza senza prospettive. Dove un armadio Ikea costa 2500 yuan (circa 250 euro) , mille più dello stipendio mensile di un professore di liceo.

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